Il mercato dei diamanti è in crisi nonostante da sempre sia considerato un "bene rifugio" come l'oro che al contrario in questo momento di crisi economico sanitaria in piena pandemia COVID-19 continua ad aumentare il suo valore.
I conti di De Beers soffrono il 2019 si è chiuso con quello che probabilmente è il peggior risultato da quasi un ventennio, ossia dal periodo in cui il colosso sudafricano oggi controllato da "AngloAmerican" ha perso il monopolio delle gemme preziose.
L’anno scorso i profitti di De Beers sono crollati dell’87% ad appena 47 milioni di dollari.
Il margine operativo si è più che dimezzato a 558 milioni, per effetto di minori volumi di vendita e della discesa, che sembra senza fine, dei prezzi dei diamanti, ormai ai minimi da almeno dieci anni.
Nel corso del 2019 il prezzo di vendita delle gemme grezze è diminuito di un quinto per De Beers, a una media di 137 dollari per carato.
Il fatturato del gruppo ha subito una contrazione del 24,3% (a 4,6 miliardi di dollari).
In calo anche la controllata Lightbox che vende diamanti sintetici e della Element Six, che serve i clienti industriali.
Anche Alrosa, che spartisce con De Beers oltre metà del mercato mondiale dei diamanti.
Il colosso statale ha visto crollare le vendite di gemme grezze.
Il problema più grave sul mercato riguarda tuttavia la domanda.
Le vendite di diamanti tagliati e più in generale di gioielleria sono sempre più deboli, vittime del rallentamento dell’economia, in particolare in Cina, Paese che da anni traina la crescita del settore.
I tagliatori hanno accumulato scorte di diamanti grezzi che ora faticano a smaltire.
Un altro problema a mio avviso è anche quello dei diamanti creati in laboratorio, gemme indistinguibili da quelle naturali ma molto meno costose e più etiche, non solo per il ridotto impatto ambientale ma anche perché chi le sceglie può essere certo che non siano "conflict diamonds".